psichiatria
La psichiatria è la branca specialistica della medicina che si occupa della prevenzione, della cura e della riabilitazione dei disturbi mentali, dal punto di vista teorico e pratico. Essa è definibile come una “disciplina di sintesi” in quanto il mantenimento e il perseguimento della salute mentale, che è lo scopo fondamentale della psichiatria, viene ottenuto prendendo in considerazione diversi ambiti: medico-farmacologici, psicologici, sociologici, politici,giuridici. La psichiatria è una pratica medica focalizzata prevalentemente sull´uso dei farmaci, con l´utilizzo accessorio di metodologie altrimenti tipiche della psicologia, che invece è la disciplina che studia il comportamento degli individui e i loro processi mentali. Tale studio riguarda le dinamiche interne dell´individuo, i rapporti che intercorrono tra quest´ultimo e l´ambiente, il comportamento umano ed i processi mentali che intercorrono tra gli stimoli sensoriali e le relative risposte. Il termine deriva dal greco psyché = spirito, anima e iatros che significa medico. Letteralmente la disciplina si dovrebbe occupare della cura dell´anima.
CENNI STORICI
Nel corso del tempo e nelle diverse civiltà, gli approcci, le spiegazioni, l´atteggiamento ed i trattamenti relativi alla follia hanno subito cambiamenti radicali e, nell´impossibilità di una trattazione esaustiva della storia della psichiatria è forse utile una schematizzazione che consenta di tracciarne le tappe fondamentali ripercorrendo quali sono stati i cambiamenti di alcuni aspetti paradigmatici della psichiatria:
la spiegazione e l´origine (natura) della follia;
le modalità di trattamento dei “folli”;
le persone e le istituzioni deputate al trattamento.
Antico Egitto
Gli antichi Egizi ritenevano che tutte le malattie, indipendentemente dalle manifestazioni, avessero un´origine fisica e ponevano nel cuore la sede dei sintomi che oggi chiamiamo psichici: non vi era dunque alcuna distinzione tra malattia fisica e mentale.
Grecia e Roma (VI secolo a.C. – VI secolo d.C.)
Nelle società greca e romana la follia possedeva una forte connotazione mistica, era ritenuta una punizione di origine divina, da affrontare con trattamenti di tipo mistico-religioso, da parte di sacerdoti o filosofi.
Ippocrate (460 a.C.-377 a.C.) introdusse il concetto innovativo che la malattia e la salute dipendessero da specifiche circostanze della vita umana e non da superiori interventi divini (“la divinità vive nel metabolismo del cervello stesso”): la condizione di salute o malattia veniva spiegata, organicamente, come risultante dello sbilanciarsi di quattro umori (teoria umorale), in particolare la depressione era considerata legata ad un eccesso di bile nera. Basandosi sull´osservazione clinica, Ippocrate individuò nelle freniti le malattie psicotiche organiche primitive del cervello (disturbo mentale acuto con febbre); nelle manie i disturbi mentali acuti senza febbre; nella melanconia il disturbo mentale stabilizzato o cronico (insania); sottrasse l´epilessia al mondo magico (“morbo sacro”, dovuto alla maledizione degli dei), attribuendole un significato simile a quello odierno.
Per quanto concerne i sintomi somatici senza danno fisico, ovvero le somatizzazioni, essi prendevano il nome di isteria, dal termine greco indicante l´utero: si riteneva che tale organo si spostasse all´interno del corpo, entrando in contatto con cuore, fegato, testa, arti, che così influenzati dolevano, l´isteria fu vista per la prima volta come il frutto dell´insoddisfazione erotica, il che coincide sostanzialmente con l´interpretazione fornita dalla scuola psicoanalitica di Freud.
Medio Evo- Età moderna
Successivamente, tra il Medioevo e l´età moderna, l´interpretazione predominante mutò: possessione da parte di spiriti malvagi o del diavolo, debolezza morale, castigo divino. Frequentemente le donne affette venivano accusate di stregoneria e condotte sul rogo.
Settecento-Ottocento
Michel Foucault sostiene che durante l´Illuminismo la psichiatria nacque come forma repressiva della nascente borghesia. In quell´epoca Philippe Pinel – siamo nel 1793 – “spezzò le catene agli alienati” con l´intento di liberare il folle dalla sua condizione di reprobo, consacrandolo come malato. È in tale circostanza che nasce la psichiatria assumendo il suo posto come branca della medicina. Eguale percorso venne compiuto dal medico empolese Vincenzo Chiarugi che, sotto il Granduca di Toscana Pietro Leopoldo di Lorena, nel 1788 assunse la direzione dell´ospedale di Bonifazio a Firenze, dove si trasferì con i suoi assistiti già identificati quali malati di mente; nel 1793 diede alle stampe il suo trattato “Della pazzia in genere e in specie”, prima opera medico-scientifica sul tema della categorizzazione della follia. Il trattato di Chiarugi segnò la nascita della clinica psichiatrica e restituì al folle la “patente” di malato piuttosto che di peccatore o delinquente.
Le radici degli odierni sistemi di cura affondano nel XVIII secolo, quando furono concepiti i primi asili per gli alienati. Da queste strutture derivano i manicomi od ospedali psichiatrici che, anche in Italia, sono stati rifugio/prigione per i malati durante gran parte del XX secolo. In tali ambienti l´elevata concentrazione di pazienti favoriva l´osservazione e la classificazione delle malattie da parte degli psichiatri (o alienisti).
Uno dei fatti che più sensibilmente influenzarono la psichiatria al tempo di Freud (classe 1856) furono i lavori di Emil Kraepelin(1856-1926) ed Eugen Bleuler (1857-1939) .
Kraepelin, psichiatra tedesco, compilò la prima classificazione unanimemente condivisa dei disturbi mentali e formulò le categorie diagnostiche della psicosi maniaco-depressiva (oggi chiamata disturbo bipolare) e della dementia praecox (oggi chiamata schizofrenia). Il lavoro di Kraepelin ha evidenziato l´importanza dell´origine biologica di questi disturbi e la necessità di utilizzare strumenti di ricerca e di misurazione precisi.
A lui si deve il merito di aver gettato un ponte sul burrone che all’epoca divideva medicina e psichiatria: egli affrontò in maniera organizzata, sistematica e scientifica lo studio delle malattie mentali, basando le sue classificazioni dei disturbi psichici sulla diligente osservazione di molti casi clinici. Il suo lavoro si basò su una raccolta di dati completa, prolungata nel tempo e su dettagliate registrazioni. Kraepelin si sforzò di essere obiettivo e accurato ed infatti dal suo lavoro scaturì una classificazione abbastanza elaborata. L’idea centrale del suo sistema era che i modelli dei complessi di sintomi potevano essere identificati e se ne poteva stabilire la coesione e la consistenza. Questi complessi di sintomi rappresentavano entità di malattie, come in medicina i complessi dei sintomi organici o le sindromi sono considerati processi distinti di malattie. Egli presumeva che, una volta stabiliti e definiti tali complessi, o sindromi, si potesse cercare dietro di essi una causa specifica o una serie di cause.
Fino ad allora, la malattia mentale era considerata sostanzialmente inguaribile, progressiva ed incomprensibile. Questo giustificava la segregazione dei pazienti per la salvaguardia delle “persone civili e del pubblico decoro”. Gli strumenti terapeutici in molte istituzioni mediche ottocentesche erano spesso improvvisati: docce ghiacciate, diete sbilanciate, isolamento e contenzione fisica sono solo alcune delle pratiche cui venivano sottoposti i pazienti. La situazione era destinata a migliorare notevolmente nel corso del Novecento, grazie all´introduzione di varie forme di psicoterapia ed alla scoperta degli psicofarmaci.
Novecento
Un ulteriore contributo, sebbene in maniera del tutto autonoma, è contemporaneamente derivato dall´opera di Sigmund Freud (1856-1939), che criticava l´idea di incurabilità. Freud, basandosi sugli studi da lui effettuati insieme a Jean-Martin Charcot e Joseph Breuer e sulle nuove idee riguardanti l´inconscio, elaborò il primo modello completo sulle malattie mentali e un approccio psicoterapeutico per il loro trattamento (psicoanalisi). Il suo rimase il modello predominante utilizzato nella professione medica per il trattamento dei disturbi mentali fino alla metà del XX secolo, quando lo sviluppo della terapia elettroconvulsivante (introdotta negli anni trenta) e delle cure basate sui farmaci riportarono la pratica psichiatrica verso un approccio più meccanicistico.
Nella Germania nazista e poi nell´Unione Sovietica le conoscenze di psichiatria furono strumentali all´eliminazione di oppositori politici e all´attuazione di politiche eugenetiche. In Germania esistevano commissioni formate da psichiatri e medici incaricate di “selezionare” i malati fisici e psichici che dovevano subire l´eutanasia; in URSS la dissidenza politica poteva essere diagnosticata come alienazione mentale e l´oppositore veniva allontanato dal posto di lavoro e spesso rinchiuso in ospedale psichiatrico. Anche in Italia ci fu, sembra, qualche caso simile. Emblematica la vicenda di Ida Dalser e del figlio, che coinvolse la figura di Mussolini.
I primi psicofarmaci, destinati a cambiare in modo radicale e diffondere le metodologie di cura, furono sintetizzati fra gli anni quaranta e cinquanta e conobbero una rapida diffusione. Nei decenni seguenti, il netto miglioramento delle conoscenze di neurochimica ed il continuo sviluppo di nuove molecole (che possono agire sempre più incisivamente e selettivamente su particolari siti e tipi di recettori neurotrasmettitoriali, con effetti secondari progressivamente sempre più ridotti) hanno migliorato ed arricchito notevolmente le opzioni terapeutiche disponibili per la gestione e la cura delle principali malattie psichiatriche.
Dal secondo dopoguerra, i sostanziali progressi della ricerca nelle scienze del comportamento hanno dato origine a forme di psicoterapia che si sono dimostrate efficaci, in prove controllate, nel ridurre o eliminare molte condizioni psicopatologiche, specie con il supporto della terapia farmacologica. Il panorama delle psicoterapie oggi disponibili è vasto e complesso, facente capo a scuole di diverso orientamento e talora in conflitto tra loro, ma ha notevolmente ampliato la possibilità di scelta dei pazienti e di trattamento dei disturbi.
Nel 1948 G. Brock Chisholm e J.R. Rees fondarono la Federazione Mondiale della Salute Mentale (WFMH, World Federation for Mental Health), che promosse iniziative governative per l´aumento degli psichiatri e dei fondi per le politiche di salute mentale.
Nel corso dei decenni successivi l´APA (American Psychiatric Association) produsse diverse edizioni del suo Diagnostic and Statistical Manual (DSM) dei disturbi mentali, che al momento attuale rappresenta la più diffusa tipologia di categorizzazione nosografica delle patologie psichiatriche, caratterizzata (secondo i suoi sostenitori, ma tale posizione è stata spesso criticata) da criteri di universalimo ed ateoriticità.
Sebbene tuttora non si conoscano terapie in grado di guarire completamente le forme più gravi di malattia mentale, psicofarmaci e psicoterapie, se usati in modo esperto, possono contribuire a migliorare in modo sostanziale la condizione dei pazienti; in molti casi è possibile arrivare ad una completa remissione o almeno ad un significativo controllo della sintomatologia.
Nel 1978 Franco Basaglia portò nel Parlamento italiano una legge che prevedeva la dismissione degli ospedali psichiatrici e la cura dei malati negli ambulatori territoriali. La Legge 180/78, tuttora vigente, prevede il ricovero solo in caso di acuzie (presso gli SPDC, i Servizi Psichiatrici di Diagnosi e Cura), rendendo l´Italia un paese pioniere nel riconoscere i diritti del malato e nel favorire la territorializzazione dei Servizi di cura del disagio psichico.
SCUOLE DI FORMAZIONE, UNIVERSITA’ E CORSI DI AGGIORNAMENTO
Nell´ordinamento italiano lo psichiatra è un laureato in medicina e chirurgia con specializzazione post-laurea in psichiatria, quindi è prima di tutto un medico: può prescrivere farmaci generici e/o psicofarmaci con regolare ricetta medica e richiedere e valutare,esami.clinici.
Il Medico specialista in Psichiatria è anche abilitato – previa richiesta formale di annotazione. In apposito elenco presso il proprio Ordine Provinciale di riferimento – all´esercizio della Psicoterapia. Differentemente dagli Psicologi che, per poter esercitare la Psicoterapia, devono ottenere una specializzazione specifica.
In Italia sono attive scuole di specializzazione in psichiatria, della durata di 5 anni, presso le Università di:
Bologna, Catanzaro, Genova, Verona, Federico II di Napoli, Università del Piemonte Orientale di Novara, Brescia, Cagliari, Ferrara, Firenze, L’Aquila, Milano Bicocca, Modena, Padova, Palermo, Parma, Pisa, Roma La Sapienza, Roma Tor Vergata, Catania, Siena, Messina, Università degli studi di Milano, San Raffaele di Milano.
PRESENZA IN ITALIA ED EFFICACIA SULLA POPOLAZIONE
Negli ultimi 25 anni si è osservato un incremento esponenziale delle morti per malattie mentali, in numerosi paesi degli Stati membri dell’Europa. Le malattie mentali sono tra le principali cause di morte. Un incremento esponenziale della mortalità si è avuto anche per il morbo di Alzheimer e per i disturbi correlati alle droghe. Secondo l’Oms le malattie mentali diventeranno la principale causa di malattie croniche in questo secolo. Il costo sociale delle malattie mentali è elevato (compreso fra il 3% e il 4% del PIL degli Stati membri). Il costo economico della sola depressione nell´UE è stato stimato a 118 miliardi di euro nel 2004 nell´Ue a 25 e nei Paesi dell´Efta, pari a 235 euro per abitante. La sola schizofrenia (ovvero la minima parte di tutte le malattie mentali) assorbe il 2% dell’intera spesa sanitaria. Lo stress lavorativo rappresenta la prima causa di malattia riferita dai lavoratori e colpisce circa 40 milioni di lavoratori nei Paesi dell´Unione Lo stress lavorativo causa il 60% degli incidenti mortali sul lavoro. Ogni anno infatti, secondo le stime dell´European Foundation for the Improvement of Leaving and Working Condition, si spendono circa 20 miliardi di euro per costi sociali e sanitari legati allo stress lavorativo. Secondo l´Associazione Italiana Psichiatri e numerosi esperti internazionali, è necessario adottare un nuovo modello che pone gli utenti dei servizi e le loro famiglie al cuore di quello che facciamo e del nostro agire politico e investire in questa strategia. Una strategia che dovrebbe basarsi su tre punti:
1. nuove strutture e nuovi servizi, meglio definiti, che vadano incontro alle necessità degli utenti
2. un moderno schema legislativo, che rispetti la legge sui diritti umani
3. investimenti adeguati.
TRATTATO DESCRITTIVO
Parlare di psichiatria, cioè di cura della psiche, nell’ambito medico presuppone una serie di opzioni. Innanzitutto applicare il concetto di malattia, che solitamente si riferisce ad un corpo, ad un’entità come la psiche che comprende fenomeni quali idee, motivazioni, comportamenti; in altre parole credere nell’esistenza delle malattie mentali intese secondo i criteri della medicina. Questo comporta considerare la psiche una serie di funzioni delle quali si possano studiare i correlati biologici, in particolare celebrali, ed individuarne le idonee terapie, quando necessarie. Lo studio dei correlati biologici apre il problema del rapporto corpo – mente ed in particolare cervello mente, problema cruciale per una psichiatria medica. E’ una questione a tutt’oggi aperta: in taluni casi esistono evidenti rapporti fra alterazioni del cervello e disturbi psichici, in molti altri casi le alterazioni celebrali sono susseguite da dati sperimentali, ma non si traducono ancora in evidenze clinicamente fruibili. L’elemento che più conforta è dato dalla constatazione dell’efficacia delle terapie psicofarmacologiche in quanto riassestando il funzionamento celebrale si riassestano i fenomeni psichici alterati.
Molti anelli mancano alla costituzione di una psichiatria nella quale alla sintomatologia del disturbo possa associarsi un dato biologico caratteristico che indirizzi a sua volta alla corretta terapia. Va anche ricordato che esperienze di vario tipo possono incidere sia negativamente nel produrre scompensi psichici sia positivamente nel curarli. Sulla base di questo presupposto una serie di modalità di relazioni e di attività è stata codificata nel campo delle psicoterapie e delle terapie psicoriabilitative. Nella concezione della malattia mentale non deve configurarsi una lotta per il primato fra mente e cervello: ad ogni evento mentale, fisiologico o patologico, corrisponde un evento celebrale; tali eventi rappresentano due facce dello stesso fenomeno al quale si applicano due modelli di osservazione differenti. Non possiamo presumere chi origini per primo, anzi questo genere di nessi causali è poco applicabile a tale genere di fenomeni. Al di là delle diverse impostazioni delle scuole psichiatriche che di volta in volta hanno privilegiato il cervello, la mente, la relazione o le esperienze sociali, ci si deve confrontare con le evidenze cliniche. Esse sono rappresentate da un lato dalla profonda sofferenza e sovente dalla vera e propria distruzione della vita dei pazienti psichiatrici e dei loro cari, dall’altro dalla possibilità di incidere positivamente su queste sofferenze individuando tipi di disturbi e specifiche terapie. Il paziente psichiatrico può entrare in contatto con il medico per iniziativa propria o per iniziativa principalmente suggerita da altri. Esiste poi la possibilità che il paziente sia obbligato ad accedere alle cure contro la sua volontà. Una prima possibilità di contatto è quella con il proprio medico di base o perché il paziente avverte sintomi disturbanti o perché gli amici e/o i parenti osservano un suo stato di malessere. Nel primo caso i sintomi e segni che conducono alla visita sono sovente avvertiti nel corpo: difficoltà digestive, anomalie pressorie e del ritmo cardiaco, dolori vari, in particolare cefalee, stanchezza, disturbi del sonno e così via. E’ infatti più facile che uno stato di insoddisfazione o di tormento non correlato ad una sintomatologia venga confidato ad altre figure non professionali, come parenti, amici o altre professionalità, il che impedisce un inquadramento diagnostico medico – psichiatrico. Accade di frequente che casi come quello appena descritto vengano esaminati da un punto di vista internistico, neurologico, esistenziale, ma non correttamente diagnosticati sotto il profilo psichiatrico, con ritardo di diagnosi e terapie mirate. Il medico deve avere a questo punto gli strumenti per almeno un sospetto di diagnosi e per un corretto invio a terapie più specialistiche, che deve essere accompagnato da una corretta spiegazione per evitare il senso di vergogna che il paziente può provare ad essere indirizzato in tal senso. Il contatto col medico può invece essere cercato in conseguenza di anomalie più specificatamente mentali e comportamentali: l’isolamento o la diminuzione del rendimento scolastico o lavorativo, la comparsa di aspetti depressivi. Il medico di base deve formulare una prima diagnosi se si sente preparato ad impostare una terapia, oppure appoggiare il caso ad un collega specialista in psichiatria. Lo strumento principale della diagnostica è il colloquio col paziente. In psichiatria l’esame diretto, o con strumenti, del corpo del paziente si colloca in secondo piano rispetto al racconto del paziente. Si opera sulla base di differenze relative delle modalità di funzionamento globale del paziente, sia attuali che nel corso della sua vita.
Riassumendo quindi è possibile affermare che i sintomi psichiatrici del paziente emergono:
a) Dal racconto soggettivo dello stesso paziente.
b) Dalla valutazione del medico del funzionamento psichico del paziente.
c) Da quanto eventualmente riferito da altre persone.
L’attività psichiatrica può essere suddivisa in funzioni, le quali non vanno intese come separate fra loro, ma sempre strettamente integrate. Per ogni funzione può essere riconosciuta una patologia. Per lo psichiatra sono di particolare importanza:
La patologia della coscienza. La coscienza può presentare vari gradi di riduzione della lucidità, fino alla confusione mentale o alla perdita stessa delle attività mentali coscienti.
La patologia della percezione. La funzione percettiva consente, attraverso gli organi di senso, il rapporto dell’individuo con il mondo. Alterazioni patologiche possono produrre false percezioni come le illusioni (nelle quali l’oggetto stimolo è percepito distorto) e le allucinazioni ( nella quali la percezione avviene in assenza dell’oggetto stimolo).
La patologia della memoria. La memoria può essere menomata sia nella capacità di acquisire nuovi ricordi (memoria di fissazione o a breve termine), sia nel conservare e riportare alla coscienza i ricordi acquisiti (memoria a lungo termine). Vi è poi la possibilità che sia disturbata la cosiddetta memoria operativa (working memory) che contiene le nozioni elementari di base su cui si fondano le nostre abilità operative
La patologia dell’affettività. Può manifestarsi in alterazioni: del tono dell’umore, in basso (depressione) o in alto (euforia) o del sistema di allarme, con manifestazione d’ansia in forma continua o in forma di attacchi di panico.
La patologia del pensiero. Può presentare due aspetti. Uno è la produzione dei deliri, cioè pensieri assurdi, contraddittori con il buon senso, di cui il paziente è fortemente convinto e da cui non si lascia abbandonare né dall’esperienza, né dalla critica. L’altro della forma, con alterazioni della strutturazione grammaticale e sintattica del pensiero e della costanza semantica.
I disturbi dell´umore
Il tono dell’umore rappresenta il correlato emotivo di fondo di tutte le nostre attività mentali. Secondo il linguaggio comune possiamo infatti dire di essere di buon umore o di cattivo umore. In ciascuna persona si può individuare un tono dell’umore maggiormente presente che riconosciamo caratteristico del soggetto, definibile come il temperamento della persona, inteso come dato fisiologico essenzialmente stabile. Ammettiamo che un certo andamento oscillante del tono dell’umore sia fisiologico in conseguenza di avvenimenti felici o tristi: su che basi allora si definisce un tono dell’umore patologico e, pertanto, da curare? Gli elementi fondamentali da valutare sono:
L’inadeguatezza agli eventi o alle situazioni. Una reazione euforica ad un lutto, oppure di tristezza ad un lieto evento.
Numero e gravità dei sintomi. Il numero ed il tipo di sintomi che presenta il paziente.
Qualità. Il tipo di vissuto che viene esperito (ad esempio nella depressione melanconica il paziente non si sente propriamente triste, ma prova un sentimento diverso, al di fuori dell’esperienza umana consueta).
Compromissione sociale e lavorativo. Tale da interferire con l’usuale funzionamento del soggetto.
Possiamo immaginare che il tono dell’umore si alteri patologicamente per due motivi:
i meccanismi neurotrasmettitoriali che regolano il tono dell’umore si squilibrano autonomamente;
avvenimenti negativi o positivi che inducono una risposta del tono dell’umore esagerata, anomala, che solo dopo un certo tempo, o molto tempo o mai ritorna alla norma.
La depressione.
Si definisce episodio depressivo maggiore un periodo circoscritto di tempo durante il quale l’umore è persistentemente depresso in modo grave con un netto cambiamento rispetto al tono dell’umore ha abitualmente.
Esistono altre forme di depressione, fra queste le più comuni sono:
la depressione melanconica, il paziente si sente come bloccato o inibito sul piano emotivo. Non si riconosce più nel modo soggettivo di percepire gli eventi. La depressione melanconica presenta dei sintomi cardiobiologici (fluttuazione cardiaca con peggioramento al mattino, insonnia da risveglio precoce) e psicomotori (rallentamento);
la depressione psicotica, con presenza di deliri ed allucinazioni. I deliri solitamente sono quelli di colpa, di rovina economica, ipocondriaci ( paziente convinto di avere una malattia grave) o negativistici (nega con convinzione l’esistenza di sé);
la depressione atipica. Forma di depressione i cui sintomi si presentano in forma insolita. Iperinsonnia in luogo della più comune insonnia, iperfagia in luogo della diminuzione dell’apporto alimentare, aumento di peso. In questo caso il paziente è abnormemente reattivo nei confronti degli eventi e degli altri. Si manifesta pi&u